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Il Giardino degli Scrittori

σA ZOLA VECCHIA

Erano i tempi e i luoghi dell’infanzia, appena terminata la bufera dell’ennesima, inutile follia, e, con passi felpati, fresca mi sorprendeva la brezza del mattino, mentre la piana sotto, come verde tovaglia, distendeva e borghi e case e campi a vista d’occhio, ressa facendo i pioppi attorno al fiume.

La tua collina dolce, Zola Vecchia, brandelli del passato custodiva; di ruderi e leggende la magia riconduceva agli anni della grande contessa, che gloria ad altri lascia, nel cuore conservando integra fede all’antica promessa. Dal nuovo campanile solo a tratti piombano l’ore e quello abbandonato,

qua presso la rurale abitazione degli avi miei, contadini e pastori, più non ha voce e piange nostalgia, monotono lamento, dalla sua banderuola sbilenca e arrugginita. Oggi sono alle prese con chi neppure accetta come fòla la tua esistenza ai tempi di Petrosa e gli scontri con quei di San Lorenzo.

A levante Bononia si ridesta e si ridesta Mùtina a ponente: le schiere dei triùmviri per via fra il Lavino e il Samoggia, fra repubblica e impero, fra passato e futuro; tutto il sangue versato d’eterne controversie è sol foriero! Ma intanto si rivestono di luce i tuoi rilievi e di pregiate vigne.

Tra sfondi verdeaurati ed azzurrini maestose s’innalzan le dimore
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di chi, unendo prestigio e autonomia, si adegua alle risorse, alle laute prebende del singolar governo a mezzadria col papa.

Alito fresco del Cimone scende dal monte Capra e dall’Avezzano, piegando il fumo ch’esce dal camino.

Più recenti vicende han trasferito il centro del paese e della vita e tu solo per pochi ormai rimani un lontano ricordo che al passato si lega con un filo di seta fragile e contestato. Chi tiene alle radici non ti nega: le tue sono di quercia millenaria e ributtano ad ogni primavera!

(2007) Renzo Franceschini Dalla raccolta inedita: “Sentieri di paese”.

 

Da Paolo Senni Guidotti Magnani, Parolediparole, Pendragon 2005

RICORDI COME UN CANNOCCHIALE DI RICORDI

 

Era mio padre

che,                      raramente,                 raccontava

di imprese di sci

compiute da solo o con amici

(camminare per ore di notte e all’alba essere in vetta per l’unica discesa),

o                               dell’Africa.

Ma più che discorsi

erano fotografie

che lui mostrava.

Ed io                         ora                      ricordo

i suoi ricordi                  e i miei            (e i tuoi).

Ricordo che parlava

di luoghi di campagna,

proprietà

primavute

poi malvendute o malaffittate,

in cui                       figlio, unico maschio,

mi portava

(una volta a parlare con un ingegnere che lavorava alla Ferrari: il compratore).

Ricordo quei luoghi

con poche case

solo quelle dei contadini con le stalle e i fienili.

Ed ora che vado

a san Giovanni

passando

da Le Budrie per visitare te,

la qua-dran-cto-miz-zata

e ci chiediamo “come saranno i linfonodi”,

rivedo quei luoghi

in cui con mio padre,

ma con molte più case ora

e                   ricordo               di mio padre con suo padre

ché, anche lui figlio maschio, ma il maggiore,

gli affidava le redini

o                   i cavalli da star fermi per la cavezza.

A me                invece

generazione dopo generazione

ricordi di ricordi

l’uso                 del volante                      qualche rara volta

a lui in braccio

con l’auto in movimento.

Ma

ricordo                        anche                 i tuoi ricordi:

di Trieste,                     la tua città natale,

di amici                    di letture

delle case e dei parenti

e               dei nostri trentanni            di

vita coniugale familiare.

So poi                  anche                 i ricordi               di altri

e                 di altre.

Sapere i ricordi.

 

MALINCONIA TRAVESTITA DA CORTESIA

 

Loro              erano lì                    e

non potevano

essere altro che sé stessi,               seduti,

su di una panchina,

di fronte                allo storico maniero               nel parco

a contemplarlo, a contemplare

se stessi            e                il loro passato.

 

Lei una dama               una dama di francia

con i denti               un poco ingialliti

e una poltiglia densa               sotto le labbra

quando               proclamava

enunciava               proferiva

sussurrava               quel francese

che sapeva di storia

di biblioteche

di un mondo scomparso.

 

Anche lui

parlava antico

e, a sorpresa,

discuteva (fra sé e sé) di povertà

e               (non so perché)

delle favelas

e               “Non si può parlare sempre e solo dell’Africa.”

Era polemica?               Con chi?

Contro chi argomentava?

 

La conversazione

(in francese)

procedeva               tra luoghi comuni

quasi               ci fosse una macchina

di quattro cervelli

rispettosi gli uni degli altri

a               riprodurli.

 

Ma,

a un certo punto (della conversazione)

il Signore e la Signora

si sono alzati               e                  si sono avviati

all’uscita del parco.

 

A noi               è rimasto               il sapore

di qualcosa               molto difficile               da dire

da scrivere:

forse era malinconia travestita da cortesia,

in una domenica pomeriggio

non facile da riempire

e                in cui                è risultato impossibile

raccontarsi

la vita.

 

Da Paolo Senni Guidotti Magnani, Nuove elegie – Poesie per argomenti, con presentazione di Francesco Guccini, Pendragon, in corso di stampa

 

ELEGIA DEI 23 INCIPIT

 

<Si era trovato nel traffico locale, ma lui lì era uno straniero …>

<Non poteva non riconoscerla per via di quelle curve, che svettavano da ogni dove …>

<Ne aveva fumate troppe e quella poi non sarebbe stata neppure l’ultima. Lasciò cadere la cicca e la pestò con la punta del piede ruotando in un senso e nell’altro …>

<Quando la vide il suo cuore per un attimo si fermò. Era la stessa che la sera prima era seduta due file più avanti ….>

<Alle venti finiva il turno. Sarebbe uscita e avrebbe aspettato l’autobus …>

<La gamba gli faceva male. Perdeva sangue e il piede sciaguattava nello stivale …>

<A qualcuno di sicuro sarebbe venuto in mente. Non poteva sperare di farla franca …>

<Il primo pensiero era stato di non dirglielo, ma poi cambiò idea …>

<Aveva sentito dei passi. Spense la luce. Prese la pistola e armò il cane. Pensò per un attimo ad Annabell …>

<Nel cruscotto niente. Sotto i sedili niente. Nel bagagliaio niente. Niente di niente …>

<”Io vado stronzi di merda!” ringhiò e rise cupamente. Se lei non gliela avesse data? Cosa sarebbe successo? …>

<Aveva studiato all’accademia di Livorno nella marina militare. Poi si era congedato. Quando io lo conobbi aveva già un brutto carattere …>

<Fra quadritectomia, chemio preventiva e radio erano passati due anni. …>

<Il caposquadra disse: “Fate attenzione e controllate le maschere prima di scendere.” Tossì e sputò. “Prima Luigi, poi Luciano.” …>

<Fermò la macchina prima del canneto. Scese e andò verso il fiume. …>

<Pregava in silenzio. Recitava il rosario. Teneva la mano in tasca con la coroncina di metallo a dieci pallini e la croce. …>

<Tornò indietro. …>

<Alitò sull’anello. Lo sfregò sulla manica. …>

<Non aveva sete e non era caldo. Disse: “Grazie, per me va bene un tè.” …>

<Allargò le gambe e aspettò rassegnata. …>

<Si tolse la cinghia dai pantaloni. …>

<Lei gli disse. “Perché sei qui? Lo sai che non devi venire. Dove sono i bambini? Prese una manciata di spiccioli dal borsino e glieli diede. …>

<Quella sera non carburava. Sentiva un peso. Mangiò e parlò poco. Gli venne in mente suo padre quando lo portava nei monti e non incontravano nessuno. …>

<Sua madre era una donna di fede. Pregava tutte le sere in ginocchio appoggiata all’alto letto matrimoniale. Non si era mai accorto che suo padre e sua madre facessero l’amore. …>

 

 

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